
Guardalo.
C’è un elefante compatto che avanza senza chiedere permesso.
È il Paleoloxodon mnaidriensis, il Nano di Sicilia: passo corto, forza lunga.
Gli occhi stretti, le zanne brevi ma determinate. Sta sui Cuti, non davanti: appartiene.
È il guardiano che San Giovanni Li Cuti aspettava.
Dalla Sicilia profonda riemerge lui: Paleoloxodon mnaidriensis.
Piccolo per statura, enorme per memoria.
È l’animale che ha camminato dove cammina Licuti:
passo corto, cuore lungo.
Diventa mascotte, idolo, totem.
Sopra una corona di rocce laviche spigolose — i Cuti, fondamento e firma del quartiere — sta in equilibrio l’elefante nano: Paleoloxodon mnaidriensis. Non un gigante, ma una forza raccolta. Le zanne corte indicano la via, la proboscide tesa disegna slancio, lo sguardo frontale sfida e protegge. Le orecchie aperte sono vele: prendono il vento della baia e lo trasformano in movimento.
Sotto, la parola LICUTI è una trave di comando. Le lettere alte e compatte sorreggono l’icona come un pontile di acciaio, mentre l’onda blu, incastonata alla base, non è un ornamento: è chiamata, impulso, ritmo che spinge in avanti.
Le radici
Ogni segno del logo è un filo che riporta a casa.
I Cuti dicono “qui”. L’elefante dice “noi”.
È l’animale che la Sicilia custodisce da millenni nella sua memoria di pietra, lo stesso che la ricerca ha riportato alla luce grazie a Fabio Branca. Oggi quel passato non sta nei musei: cammina sul petto di chi scende in campo, guida tribuna e panchina, unisce la baia alla formazione.
Le emozioni
Questo non è un disegno. È un faro.
Illumina la frazione, accende l’orgoglio, guida il cammino.
Chi lo porta addosso non indossa un marchio: porta un testimone.
Licuti.
Dai Cuti, per i Cuti, con i Cuti.
Il Nano è davanti, la squadra dietro.
E la storia — finalmente — ha trovato il suo volto.